La bonifica dell’area Kuwait di Napoli Est riparte. Lo riferisce un ampio articolo il Mattino del 30 settembre, che riporta l’intesa tra la compagnia petrolifera e l’Arpac a riguardo dell’ex raffineria Kuwait. “Quasi un milione di metri cubi di strutture da risanare – si legge nel pezzo di Valerio Iuliano – in un’area di 38 ettari disseminata di capannoni che da quasi un secolo incombono sul’area orientale della città”. All’Arpac, agenzia esperta di bonifiche, toccherà garantire lo svolgimento delle attività di controllo delle operazioni svolte sui suoli.
La notizia offre il destro all’economista Massimo Lo Cicero, componente del Comitato scientifico della Fondazione Matching Energies, di proporre una analisi storica delle dismissioni industriali nell’Area est. “Le raffinerie chiudono i cancelli nel 1984 – ricorda Lo Cicero -. Nel 2017 ci ritroviamo nelle macerie di questo strano destino industriale, che era cominciato ai primi del novecento e per molti decenni è rimasto quasi uno scheletro, certamente una rappresentazione del degrado urbano e della mancata capacità dei poteri pubblici di trovare la forza di una rigenerazione”.
Obbligato il confronto con altre città europee, dove gli “scheletri del passato” sono scomparsi per fare posto a importanti costruzioni tese allo sviluppo di luoghi innovativi. “Sono passati molti anni dal 1984 ad oggi – afferma l’economista con amarezza – ed d è impressionante come una simile grande occasione, per rivalutare la grande occasione della Napoli di levante, non sia mai stata neanche immaginata”. E aggiunge: “Si può andare indietro per la grande trasformazione di Napoli solo se si pensa alla Società per il risanamento di Napoli nella Belle Epoque ed alle opportunità che l’intelligenza di Francesco Saverio Nitti venne utilizzata per creare nel 1904 l’Ilva, a Ovest di Napoli”. Per rievocare infine un tratto saliente della storia della città: “Sia tra le due guerre, che nella crescita tra gli anni sessanta, che alimentava lo sviluppo del paese, Napoli non è mai stata capace di trasformare, adeguatamente e senza questioni scabrose, la grande trasformazione che avrebbe dovuto sopportare per diventare una metropoli…” Ed ancora una considerazione conclusiva di carattere generale, quasi una morale da trarre dalla vicenda: “… invece di costruire – sottolinea Lo Cicero – una dimensione di cooperazione e di capacità di integrazione a largo raggio, la società locale rifiuta la dimensione della grandezza e quella della condivisione. In questo modo non si riesce a realizzare uno sviluppo adeguato e sostenibile e si rimane al palo. Fermi e muti di fronte alla dimensione urbana che viene progressivamente degradata”.
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