La grande recessione cominciata nel 2008 ha svuotato il prodotto potenziale del Mezzogiorno anzitutto perché lo scheletro meridionale delle reti infrastrutturali non ha avuto la stessa capacità di sviluppo di quelle centrosettentrionali. E uno dei punti deboli è l’idea che, una volta fatta l’opera, essa possa da sola promuovere sviluppo nel contesto territoriale in cui si cala.
Lo afferma in un commento apparso sul Mattino il 16 luglio l’economista e componente del Comitato scientifico della Fondazione Matching Energies Massimo Lo Cicero. Seguiamo il suo ragionamento.
Il punto debole è che, pur disponendo di nodi infrastrutturali sufficienti (come per esempio tra Salerno e Caserta, ossia nel territorio della cosiddetta metropoli napoletana), questi non sono inseriti in una rete altrettanto robusta. Paradossalmente da Napoli è più facile salire verso Nord che nel resto del Mezzogiorno. Perché
“Dal Nord – scrive Lo Cicero – scendono verso il Sud merci, servizi e passeggeri. Fino a Napoli e Salerno… dopo la creazione della città metropolitana di Napoli, dovrebbero essere proprio le medie città della Campania a chiedere una rete, un vero e proprio scheletro per trasferire merci, servizi e passeggeri”.
Non si tratta solo di viabilità e ferrovie, spiega Lo Cicero, perché la stessa logica seguono “le reti per l’energia, per le telecomunicazioni, per i viaggi aerei e molte altre ancora”. Il punto focale è questo: tali infrastrutture non devono essere considerate solo come oggetti da costruire, e poi lasciare sul campo. “Le infrastrutture – conclude lo studioso docente di Unison e Stoà – devono erogare merci e servizi, trasporti e passeggeri: devono allargare la dimensione dell’economia grazie alle loro prestazioni. Non sono monumenti sono investimenti: le due cose sono molto diverse una dall’altra”.
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