EDICOLA MEZZOGIORNO / Le tre dimensioni di Napoli – Una riflessione di Massimo Lo Cicero

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Di grande interesse, perché riguarda da vicino la più grande metropoli nel Mezzogiorno e la terza in Italia, la riflessione avviata da Massimo Lo Cicero sulle colonne del Corriere del Mezzogiorno (Le tre dimensioni di Napoli, 4 settembre 2018). Importante anche perché prefigura, in conclusione dell’intervento, che ci sarà un prosieguo, con almeno altri due articoli, ed auspicabilmente anche un approfondito dibattito.

Lo Cicero afferma che la considerazione ricorrente che più di frequente si accosta a Napoli, sin dai primi anni Novanta, riguardi l’idea di un suo lento e progressivo degrado, da cui non riesce a riscattarsi. “Questa parabola – scrive l’economista – si è trascinata dal 1993 al 2018: un quarto di secolo”. E passa poi ad adottare una metafora – quella del quadrilatero – per definire i confini di una interpretazione della realtà cittadina:

  • trasformazioni urbane e costruzioni
  • dimensione sociologica ed economica della popolazione e delle sue segmentazioni
  • rinascita industriale (dopo la caduta della capitale borbonica)
  • rilancio, in parallelo, di una espansione turistica, di un recupero dei beni culturali e delle culture, che animano il corpo di Napoli.

Dal punto di vista storico, invece, Napoli è caratterizzata da tre dimensioni:

  • l’ingresso nell’età moderna e la caduta del Regno borbonica
  • la integrazione con il Regno piemontese, la trasformazione di una metropoli economica che abbandona la dimensione politica, le due guerre mondiali, la parabola della prima Repubblica
  • la parabola della seconda Repubblica che degrada e slitta verso una sorta di terza Repubblica in fieri.

 

E adesso? Come si presenta la città? Oggi Napoli è gravida di scorie e problemi del passato, remoto e prossimo. Soprattutto “non regge la forza di una trasformazione positiva e di un progetto adeguato”. Qualsiasi sia il progetto che si intende porre in campo, “non possono essere concentrati in gruppi talmente compatti – avverte Lo Cicero – da escludere il resto della città… Napoli non ama gerarchie rigide ma reti fluide: il problema è la forza interna delle reti, i progetti distribuiti sul territorio e le risorse umane, capaci di ottenere risultati efficaci e tenaci… servono una coesione e una cooperazione che consentano, grazie a incroci tra pubblico e privato, la circolazione di un flusso di fondi che vengano restituiti grazie ai margini delle imprese e per allargare processi efficaci grazie alla spesa pubblica e alle sue articolazioni. Se i due flussi non si ritrovano è difficile fare esplodere crescita e sviluppo.

Concludendo (per il momento), si tratta di “agire sui cittadini, sulla spesa pubblica e sulle risorse comunali e regionali, in termini di riordino e sistemazione dei luoghi più degradati della città. Politica debole, società divisa, imprese e apparati statali sono gli ostacoli del futuro: ma questo è un’ulteriore scommessa per Napoli se tornerà capitale”.