Passati al setaccio i Tg1 della Rai delle ore 20 dal 1980 fino al 2010. Venti anni di servizi televisivi scandagliati con l’obiettivo di monitorare come viene rappresentato il Mezzogiorno nell’arco di tre decenni. Stessa operazione poi con gli articoli sul tema Sud del Corriere della Sera e la Repubblica. E la ricerca che diventa infine un libro intitolato “Buonanotte Mezzogiorno. Economia, immaginario e classi dirigenti nel Sud della crisi”. Eccoci alle radici della “percezione negativa” del Mezzogiorno. Una narrazione distorta, imposta dalla tematizzazione dei media, che ha permeato il dibattito pubblico sul Sud. Una operazione fatta a danno dei meridionali, presupposto per “giustificare le scelte negative fatte dalle classi dirigenti nazionali per questa parte d’Italia”. Ne parla Isaia Sales sul Mattino del 23 gennaio 2018. Ma prima osserviamo i dati che emergono dallo studio condotto dai sociologi Valentina Cremonesi e Stefano Cristante:
- Su un totale di 1.844 esaminati, solo i19% è riconducibile al Sud (che pure rappresenta 134% della popolazione italiana).
- Di Sud si parla nel principale telegiornale una volta ogni dieci servizi.
- Gli argomenti he prevalgono: cronaca, criminalità, welfare, meteo.
- All’interno della cronaca prevalgono i servizi sulla cronaca nera
- All’interno del tema criminalità prevale nettamente quello delle mafie
- La malasanità il tema più trattato a proposito del welfare.
- Quasi il 60 % dei servizi riguardano omicidi, rapine, truffe e mafie.
“E se a questi – spiega il professore editorialista del Mattino – aggiungiamo gli scandali della sanità il tema dell’illegalità svetta sull’immagine che trasmette il principale telegiornale italiano: Il Sud viene raffigurato come un luogo lontano, difficile, degradato e irrecuperabile, la questione meridionale è assorbita dal malaffare e dalla questione criminale”.
IL GHETTO
A lungo andare il Mezzogiorno è diventato “un luogo quasi estraneo al resto d’Italia, parte di un altrove misterioso e inspiegabile”. E il crimine e i comportamenti illegali appaiono come “una colpa insanabile, uno stigma antropologico, una diversità di comportamento quasi etnico, un retaggio del passato” che impedisce qualsiasi azione di risanamento e rende inutile ogni sostegno pubblico.
Secondo Sales, il messaggio che viene veicolato è il seguente: finché c’è illegalità e criminalità nel Sud, nessun aiuto è possibile. “Se i meridionali non si liberano dai politici che hanno scelto, dai mafiosi e dai delinquenti che li dominano non è possibile dargli una mano. Il crimine e il malaffare sono espressione della loro mentalità, un retaggio storico che non hanno saputo affrontare e in cui si sono crogiolati…”.
Spettacoli, di sport, di economia, di volontariato, di cronaca rosa? Se ne parla nei Tg di altri territorio, certo, ma sono argomenti quasi inesistenti per i territori meridionali. Qui prevale “una drammatizzazione narrativa segnata dal malaffare e dal crimine”. Problemi che esistono ( e come!) ma non possono assolutamente trasformarsi nell’essenza ultima della società meridionale. Se “un articolo su due ad argomento Mezzogiorno d’Italia è iscrivibile nella cornice di senso rappresentata dalla criminalità”, diventa di ordinario utilizzo l’approccio secondo il quale “il Sud non lo si capisce, non lo si interpreta, non lo si rappresenta se non a partire dal crimine e dalle mafie”. A conferma di questo, si sconta il fatto che le due regioni che appaiono di più sui due quotidiani sono la Sicilia e la Campania, seguite a distanza dalla Calabria. Le restanti parti del Mezzogiorno sono in pratica quasi inesistenti nella narrazione giornalistica: un Sud invisibile fuori dalle zone del crimine.
LA CITTA’ CRIMINALE
E Napoli? La capitale del Mezzogiorno non può essere da meno, anzi. La città esprime a dovere la realtà di un Sud a prevalente vocazione criminale. Essa è descritta come “nn luogo al di fuori della civiltà, dominata da soprusi, disgrazie e inciviltà. Capitale di una “nazione a parte” dove il mancato sviluppo è dipeso da una incapacità morale e culturale dei suoi abitanti di attivare pratiche virtuose”. Si va avanti così fino a quando, a partire dal 2010, irrompono sulla scena “nuovi soggetti che via via si affiancheranno e spesso sostituiranno i meridionali come causa dei mali del Bel Paese, cioè gli immigrati”.
Concludendo, Sales avverte che la narrazione sul Sud è stata pilotata dall’inizio degli anni ottanta del Novecento da un lucido disegno.” Bisognava trasformare la questione meridionale, che non si era riusciti a risolvere, in un problema antropologico dei meridionali. Il cerchio si chiude sull’idea del Sud come “causa persa” e non più da riaprire: questo il messaggio da trasmettere, questo il leitmotiv da narrare. La Lega di Bossi e Salvini ha infine portato a compimento l’opera.
Sarà impossibile rilanciare la questione meridionale finché il divario meridionale sarà attribuito in buona parte a una responsabilità soggettiva dei suoi abitanti. “Qualsiasi ipotesi di rilancio del Sud – conclude – non potrà fare ameno di una contro-narrazione e di un cambio netto di linea da parte di chi orienta l’opinione pubblica”.
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