Intervista con Marco Zigon a commento del Quarto Rapporto sulle “imprese industriali” del Sud della Fondazione Ugo La Malfa
NAPOLI,03/02/2015 – Quarto Rapporto della Fondazione Ugo La Malta sulle Imprese industriali del Mezzogiorno 2008-2013. Il quadro che emerge è a tinte fosche. Cala il giro d’affari, con una perdita che raggiunge il 20%. E cala anche più l’occupazione: nei cinque anni presi in considerazione, si arriva al 23 per cento. Unica luce in un contesto a tinte fosche viene dal faro delle imprese di medie dimensioni: quelle meridionali non hanno nulla da invidiare alle aziende del Centro e del Nord in termini di capacità produttiva e risultati economici. Anche se in misura limitata, queste aziende che si usa definire “multinazionali tascabili”, hanno sempre ottenuto ricavi tranne che nel 2011. sono inoltre poco indebitate nel breve e lungo termine. La ricetta per rivitalizzare il Mezzogiorno? Ilsudonline gira la domanda a un esponente del quarto capitalismo: Marco Zigon, presidente del Gruppo Getra e della Fondazione Matching Energies. “Puntare sulla crescita dimensionale delle imprese e su politiche di filiera è la prima cosa da fare per raggiungere una massa critica compatibile con le complessità del mercato”. Nell’intervista che segue l’ingegnere con origini venete ma napoletano di nascita, espone il suo punto di vista su come trasformare il Mezzogiorno da vagone di coda a locomotiva della crescita.
Presidente Zigon, nel rapporto della Fondazione La Malfa si legge che “ha senso insistere nel progetto dell’industrializzazione del Mezzogiorno poiché le imprese medie e medio-grandi del Mezzogiorno hanno una struttura produttiva e presentano risultati largamente analoghi a quelli delle imprese del Centro e del Nord del Paese. In altri termini, esse mostrano livelli di efficienza che le rendono fortemente competitive in sede internazionale. Qual è il suo commento in proposito?
Le medie imprese internazionalizzate e ad alta specializzazione tecnologia e di brand sono tra le realtà industriali più interessanti del sistema Italia. Non a caso il Rapporto aggiunge che, “pur limitate nel numero, le imprese meridionali di media dimensione hanno andamenti e risultati economici non negativi e complessivamente vicini a quelli delle imprese che operano nel resto del territorio nazionale”.
Quindi esiste nel Mezzogiorno un cluster di medie aziende che sanno stare sui mercati del mondo?
Fuori di dubbio. Sono internazionalizzate a sufficienza per sostenere le sfide della competizione globale. Hanno continuato a crescere anche nei sette anni della nostra recessione e della crisi economica. Sono imprese che, nella semplificazione giornalistica, vengono definite sovente “multinazionale smart” o “multinazionali tascabili”.
A questo novero di aziende che rappresentano ciascuna un esempio di successo appartiene anche il Gruppo Getra, da lei presieduto. Ci può descriverne il modello?
Getra è un gruppo industriale che opera da oltre sessant’anni nel settore manifatturiero della filiera dell’energia. Il gruppo si occupa della progettazione e produzione di trasformatori elettrici di grande e media potenza, distribuzione e di sistemi di interconnessione delle reti di alta tensione.
Possiamo dire che oggi Getra è una realtà industriale tra i leader in Europa nel suo settore di attività?
Direi proprio di sì, dal momento che Getra è partner dei principali contractor e utility operanti nel settore della produzione e distribuzione elettrica e oggi opera in tre principali aree oltre al mercato domestico: Nord Europa e Penisola Scandinava, Nord Africa, Medio Oriente.
Le eccellenze industriali sono sì emblematiche del buono che c’è al Sud, ma non sono sufficienti da sole a sostenere un’intera economia come quella che sarebbe necessaria per una popolazione di oltre 20 milioni di abitanti.
Manca quello che altrove invece c’è e funziona: il sistema Territorio. ci sono infatti condizioni di contorno e di contesto che rendono difficile lo sviluppo della filiera positiva, che tiene unite la media-azienda, la piccola azienda, fino all’artigianato ad alta specializzazione. Vero è che talvolta come imprenditori non riusciamo a fare sistema, perché non riusciamo a collaborare insieme per portare avanti progettualità con spirito di condivisione. Ma il fattore dominante è che il nostro territorio non riesce ad attrarre investimenti di grandi e medie aziende italiane ed estere.
Che cosa si può fare per rimediare a questo grave handicap?
Occorre una progettualità idonea a sottoporre alle istituzioni governative progetti strutturali, un pacchetto Sud che consenta di andare nella giusta direzione. Partecipiamo molto spesso a momenti di analisi sulle cause del divario meridionale, ed è vero che non sappiamo essere coesi e concreti in una nostra capacità di proporzione. Ma quand’anche gli imprenditori sviluppassero il massimo impegno unitivo, questo non basterebbe a creare le condizioni reali di sviluppo.
E quindi? Come fare un passo avanti?
Non basta che gli imprenditori “giochino in casa”, facendo bene il proprio lavoro. Occorre il fondamentale accordo tra i tre perni dello sviluppo: sistema delle imprese, politica e istituzioni. E’ quel sistema territorio di cui parlavano, che al Sud manca. Altrove, penso al Nord del nostro Paese e non solo, i tre elementi basici sviluppo procedono di pari passo nella medesima direzione. Nel Mezzogiorno tutto questo non c’è ancora.
E’ un motivo per cui, come sostiene Paolo Savona, alla ricerca di una soluzione, il Sud si è data un’organizzazione socio-economica di tipo chiuso, dove è in crescita l’evasione fiscale e l’attività criminale elevata a tecnica di sopravvivenza?
Paolo Savona, e per altri versi lo stesso Giorgio La Malta, ci invitano a riflettere sul Mezzogiorno come mercato in evoluzione e non solo come mercato di consumo. Due motivi fondamentali da non trascurare. In primo luogo il Mediterraneo, che pure è teatro di conflitti vecchi e nuovi. Qui sono cresciuti costantemente, anche negli anni della depressione italiana ed europea, i dati di traffico marittimo, della portualità e della logistica. Qui dove è in corso il raddoppio del Canale di Suez. Questo è il mare di raccordo con il Medio Oriente, dove insistono economie ricchissime e risorse finanziarie immense.
Poi c’è l’Africa…
Un continente appare destinato a crescere a tassi annuali come nessuna nazione europea. L’Africa è un’area in cui le esportazioni italiane svettano, poiché più che raddoppiare tra 2001 e 2013: +107,1% per un valore di 29,1 miliardi di euro. Senza i quali l’Italia avrebbe già dichiarato bancarotta.
E qual è l’altro fondamento su cui si può fare leva lo sviluppo del Mezzogiorno come traino della crescita italiana?
Indubbiamente l’interdipendenza economica Nord/Sud, tema ben focalizzato da una approfondita ricerca di SRM, il centro studi che ha rilevato che sia il Centro Nord che il Mezzogiorno sono largamente dipendenti – in termini di scambi di beni e servizi – l’uno dall’altro per soddisfare le proprie esigenze produttive. Ricavando un dato interessante. Per ogni 100 euro di investimenti effettuati nel Mezzogiorno si verifica un “effetto dispersione” a beneficio del Centro Nord pari a 40,9 euro. Viceversa per ogni 100 euro di investimenti effettuati nel Centro Nord si verifica un effetto dispersione a beneficio del Mezzogiorno pari a 4,7 euro.
La Banca d’Italia e, più di recente, Confindustria rilevano per la prima volta dal 2007 primi segnali positivi. Lei + dello stesso avviso?
Secondo la Banca d’Italia, grazie al quantitative easing lanciato dalla Bce, in Italia “la crescita nei prossimi mesi sarà significativamente superiore alle ultime previsioni”. Confindustria vede nel crollo del prezzo del petrolio, nella svalutazione del cambio dell’euro, nella accelerazione dl commercio mondiale e nella diminuzione dei tassi di interesse a lungo termine altri elementi catalizzatori. Sommando i loro effetti, sulla base di ipotesi prudenti, si legge in congiuntura flash, si arriva a una “spinta” per l’Italia pari al 2,1% del pil e nel 2015 e a un aggiuntivo 2,5% nel 2016. immaginiamo quale potrebbe essere la spinta alla crescita con un Mezzogiorno che recuperi il divario, quindi più allineato e strutturato per le sfide della competizione internazionale.
Ma per fare questo c’è bisogno anche di una maggiore spinta alla dotazione di infrastrutture materiali e immateriali. Non è così?
Quando parliamo delle infrastrutture immateriali ci riferiamo al sistema della istruzione e della formazione (Università in primis). Aggiungerei un rapporto più stretto tra sistema delle imprese e mondo della ricerca finalizzato. Serve un contesto più competitivo, una pubblica amministrazione più efficiente, meno burocrazia. Serve anzitutto un contesto economico favorevole al consolidamento delle supply chain a supporto delle imprese di eccellenza.
Quindi lei è ottimista? Fiducioso?
A patto che si investa nei motori di sviluppo sono infrastrutture, ricerca e innovazione, credito. Mai come in questo momento abbiamo elementi congiunturali positivamente predisponenti: crollo del prezzo del petrolio; il dollaro che è forte e il riequilibrio con l’euro; il costo del denaro. Abbiamo la possibilità di stimolare nuovamente i consumi. Quale momento migliore per gli investimenti e per le riforme?
A questo punto il discorso che non riguarda solo il Mezzogiorno, ma riguarda l’intera Italia. Giusto?
Sarebbe essenziale per l’Italia se a cogliere l’opportunità di una ripresa economica fosse solo una parte del nostro Paese e non il Paese nella sua incertezza. Oggi sembra notare una netta accelerazione al sistema politico. Approvato il Job Act, già si notano effetti positivi come ad esempio l’intenzione di FCA di assumere mille nuovi occupati a Melfi.
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